Notule
(A cura di LORENZO L. BORGIA & ROBERTO COLONNA)
NOTE
E NOTIZIE - Anno XXI – 02 marzo 2024.
Testi pubblicati sul sito www.brainmindlife.org
della Società Nazionale di Neuroscienze “Brain, Mind & Life - Italia”
(BM&L-Italia). Oltre a notizie o commenti relativi a fatti ed eventi
rilevanti per la Società, la sezione “note e notizie” presenta settimanalmente
lavori neuroscientifici selezionati fra quelli pubblicati o in corso di
pubblicazione sulle maggiori riviste e il cui argomento è oggetto di studio dei
soci componenti lo staff dei
recensori della Commissione Scientifica
della Società.
[Tipologia del
testo: BREVI INFORMAZIONI]
Disturbi dello spettro dell’autismo (ASD):
identificazione e ruolo dei geni ZIC. La famiglia di geni
ZIC ha un ruolo nella regolazione neuroevolutiva, specialmente nel cervelletto.
Heli Li e colleghi hanno identificato e studiato
questi geni nel cervelletto di ASD. I risultati indicano un ruolo di ZIC1, ZIC2
e ZIC3 nella patogenesi dei disturbi autistici e forniscono un elemento per una
previsione precoce e accurata dello sviluppo di forme di ASD. [Cfr. Neuropsychiatr Dis Treat. – AOP doi: 10.2147/NDT.S444138, 2024].
Malattia di Alzheimer: RACK1 nella
patogenesi della neurodegenerazione. Il recettore RACK1 è
una proteina che ha un ruolo cruciale in varie vie di segnalazione ed è
implicata nella patogenesi della malattia di Alzheimer. Specificamente, entra
nella regolazione del processing del polipeptide precursore dei peptidi
amiloidi, BAPP, attraverso α-secretasi o β-secretasi, mediante il
legame a differenti isoforme della proteinchinasi. RACK1 promuove la sinaptogenesi e la plasticità sinaptica, inibendo i
recettori NMDA e attivando i recettori GABA-A. RACK1 provvede anche ad
assemblare inflammasomi implicati in varie vie neuro-infiammatorie, come quelle
di NFK-B, TNF-α e NOD-like RFPDC. Wenting He, Xiuyu Shi e Zhifang Dong hanno presentato
e discusso gli studi migliori che definiscono molecole terapeutiche in grado di
bloccare l’accumulo di Aβ e l’infiammazione o di regolare precisamente la
plasticità sinaptica agendo su RACK1. Questa nuova strategia terapeutica
potrebbe modificare il decorso della malattia. [Cfr. J Biomed Res. – AOP doi:
10.7555/JBR.37.20220259, Feb. 27, 2024].
Malattia di Alzheimer: differenze tra i
sessi nei meccanismi patologici. La maggiore
probabilità di ammalarsi di malattia di Alzheimer delle donne ha suggerito da
tempo lo studio delle differenze nella patogenesi e nella fisiopatologia tra
maschi e femmine. Chloe Lopez-Lee e colleghi hanno realizzato una rassegna esaustiva
degli studi recenti in questo campo, condotti impiegando sequenziamento dell’RNA
di singole cellule, metabolomica e analisi multi-omiche. In sintesi: gli ormoni sessuali e i cromosomi sessuali
interagiscono con vari meccanismi patologici alzheimeriani durante l’invecchiamento,
quali infiammazione, metabolismo ed autofagia, portando a caratteristiche nella
progressione della malattia specifiche per ciascun sesso. [Cfr. Neuron – AOP
doi: 10.1016/j.neuron.2024.01.024, 2024].
Anaconda: scoperta una specie gigante del
serpente ci si interroga sul suo cervello. Bryan Fry e
colleghi dell’Università del Queensland, con una troupe di National
Geographic di cui Fry fa parte come Esplorer[1],
nel cuore dell’Amazzonia ecuadoriana hanno scoperto, filmato e poi studiato una
nuova specie del serpente anaconda (Eunectes
akayima), battezzandola northern
green anaconda. Una femmina misurava 6 metri e 30 centimetri. Prima dell’identificazione
scientifica, gli indigeni Waorani avevano avvistato
un esemplare di oltre sette metri e mezzo con un peso di mezza tonnellata. La
scoperta induce a ritenere che la tradizionale aneddotica amazzonica di
serpenti anaconda giganteschi abbia un fondamento di verità.
Fry ha notato che questo anaconda verde
del nord differisce geneticamente da quello del sud del 5.5%, sottolineando l’eccezionalità
nel paragone con la differenza tra uomo e scimpanzé che è solo del 2%. Noi
osserviamo che questo metodo basato sui loci, per definire la somiglianza
genetica, ha notevoli limiti che noi abbiamo discusso in varie sedi
scientifiche, spiegando perché sia inapplicabile nel confronto tra specie molto
distanti. Troviamo invece molto stimolante lo studio dello sviluppo del
cervello in rapporto alle dimensioni; in particolare, se conserva la relazione
proporzionale con il corpo delle specie di anaconda note o tende a un diverso
rapporto, simile a quello dei rettili preistorici. [Fonte: MDPI Diversity e National Geographic, 2024].
La forza che ha guidato l’evoluzione degli
antichi predatori è stato l’istinto assassino. Il killer instinct si era sviluppato nel loro cervello in stretta
associazione col bisogno alimentare: uccidere in modo certo e sicuro, con zanne
taglienti e mandibole adatte a produrre morsi letali, voleva dire non morire di
inedia, perché l’unico modo per alimentarsi era predare animali edibili. I
precursori dei mammiferi furono padroni della Terra per circa 60 milioni di
anni, molto prima dell’origine dei primi dinosauri. Si diversificarono come
predatori apicali tra i 315 e i 251 milioni di anni fa. Suresh
Sing della Bristol School of Earth Sciences ha illustrato
lo studio condotto dal suo team che ha ricostruito, attraverso l’evoluzione
di mandibole e denti del Dimetrodon (il dinosauro
con una enorme vela dorsale) e di altri predatori sinapsidici,
come il bisogno di uccidere per alimentarsi ne abbia guidato l’evoluzione. [Fonte:
University of Bristol, 22 febbraio, 2024].
Perché è interessante la scrittura abur dei Komi o Sirieni
ugrofinnici? I Komi, menzionati
nelle fonti occidentali col nome di Sirieni e poi detti Komi-Ziriani,
sono una popolazione di lingua ugro-finnica abitante prevalentemente nella Repubblica
dei Komi della Federazione della Russia, che non
aveva una scrittura per la propria lingua fino a quando fu espressamente ideata
per loro da Stepan Xrap (Stefano
di Perm 1335 – ca 1396) che li evangelizzò e divenne il loro vescovo. Stefano
inventò per la lingua komi un alfabeto di 24
segni (poi portati a 26) ispirato al greco e integrato col cirillico, che però
nelle forme dei segni riproduceva lo stile dei tamga
tradizionali usati dai Komi, ossia grafi impiegati
per marchiare il bestiame o come contrassegni distintivi di famiglia. L’alfabeto
inventato da Stefano è detto abur dal nome
delle prime due lettere (an e bur). È
interessante perché il processo creativo ha seguito i gusti tradizionali del
popolo riflettendone la mentalità, nonché le preferenze culturali dei pochi
membri alfabetizzati, che scrivevano in greco e in cirillico, rinunciando a usar
le parole della lingua madre, che non avrebbero saputo scrivere. Sono arrivati
fino a noi in abur, oltre al Nomocanone del 1510, testi e frammenti sotto forma di
glosse a testi in slavo ecclesiastico: traduzioni di senso da cui si possono
dedurre strutture di pensiero originali di chi parlava la lingua komi. [BM&L-Italia,
febbraio 2024].
Un chiarimento: Levi-Strauss non è
sufficiente per studiare la psicologia dei miti.
Un nostro lettore, che ha apprezzato le nostre ricostruzioni dei fatti all’origine
di alcuni miti, ci suggerisce di attingere a Claude Levi-Strauss per un paradigma
universale e sicuro di interpretazione. È necessario un chiarimento che
consenta di distinguere epoche, discipline e obiettivi differenti.
Claude Levi-Strauss, introducendo l’analisi
strutturale nell’antropologia, ha proposto per primo paradigmi che senz’altro attingono
per alcuni aspetti a un livello psicologico, ma conserva l’obiettivo proprio
della sua disciplina, ossia individuare le radici antropologiche della cultura.
Ha aperto una porta che è stata poi varcata da tanti studiosi, fra i quali vi
sono specialisti di particolari categorie di miti: nell’insegnamento
accademico, ad esempio, Mircea Eliade è diventato imprescindibile per lo studio
dei miti delle origini. Per comprendere la differenza col lavoro che compiamo
oggi, con l’obiettivo di svelare le trame dei fatti reali all’origine del mito
facendo la tara dell’invenzione fantasiosa grazie alla conoscenza
neuroscientifica dei processi mentali, consideriamo in estrema sintesi il modo
di procedere del fondatore dello strutturalismo.
Levi-Strauss scompone il mito in unità
costituenti o elementari riferite a una tematica mitologica o a una tesi
rappresentata nel mito, e poi riconosce il modo in cui queste unità sono state assemblate
o ricomposte in ogni specifico caso. Nel caso dei miti edipici, ad esempio,
riconosce queste ragioni tematiche: 1) sopravvalutazione dei rapporti di
consanguineità (Cadmo cerca sua sorella Europa che è stata rapita da Zeus;
Edipo sposa sua madre, Giocasta); 2) sottovalutazione dei rapporti di
consanguineità (Edipo uccide il padre, Laio; Eteocle uccide il fratello,
Polinice); 3) uccisione di mostri (Cadmo uccide il drago; Edipo uccide
la sfinge); 4) nomi riferiti a difficoltà del passo in funzione di metafora
(Labdaco significa zoppo, claudicante; Laio significa
pendente da un lato; Edipo significa “piede gonfio”).
Dopo questa ripartizione in quattro categorie,
il padre dell’antropologia strutturale passa all’analisi rivelatrice del
contenuto di senso latente del mito.
Il mito di Edipo in tutte le sue
versioni, secondo Levi-Strauss, rivela la sopravvalutazione e la
sottovalutazione della struttura elementare di parentela e la questione dell’origine
dell’uomo sulla terra, secondo i temi antropologici dell’autoctonia (l’uomo
può emergere dalla terra a patto che si uccidano certe creature) o del parto
della terra (gli uomini usciti dalla terra non sanno camminare o riescono a
farlo solo claudicando). Ecco la formula che rende il senso di questo mito secondo
l’antropologo francese: la sopravvalutazione dei rapporti di consanguineità sta
alla loro sottovalutazione come il tentativo di sottrarsi all’autoctonia sta
all’impossibilità di riuscirvi[2].
Come è evidente, la procedura adottata
da Levi-Strauss consiste nello scomporre il racconto e ricondurre i costituenti
della trama a categorie concettuali predefinite, da lui identificate con “strutture
del pensiero”. Un metodo che, quando è stato introdotto nelle scienze umane, ha
portato a notevoli progressi conoscitivi e ha fornito un nuovo orizzonte di
riflessione, ma che, nel corso dei decenni, è divenuto parte delle nozioni dell’antropologia
culturale e bagaglio conoscitivo tradizionale.
Nel nostro caso, oltre a essere differenti
il metodo e lo scopo, differisce anche l’oggetto: il nostro interesse è rivolto
all’aspetto della trama caratterizzato dall’invenzione iperbolica e irrazionale
che viene impiegata per assolutizzare, enfatizzare, trascendere, occultare o
correggere un fatto reale nella sua effettiva veridicità (ad esempio: un re
rapito in volo da un uccello e portato nella città sua nemica dove troverà poi
sepoltura; per celebrarlo e nascondere che era stato un traditore). Impiegando
strumenti, procedure e metodi sviluppati in seno al Seminario sull’Arte del
Vivere, noi interroghiamo i documenti, e talvolta la loro esegetica ed
ermeneutica, per risalire, ogni volta che sia possibile, alla traccia storica
del fatto leggendario da cui è nato il mito. [BM&L-Italia, febbraio 2024].
La lezione della Fibula Prenestina, che
reca la più antica iscrizione latina conosciuta: come una bias
psicologica ha influenzato gli studiosi. La Fibula Prenestina o di Manios è una spilla dell’VIII-VII secolo a.C., presentata
per la prima volta agli studiosi nel 1887 e divenuta famosa perché reca la più
antica iscrizione in latino arcaico mai reperita. La Fibula proveniva dalla
tomba Bernardini, come sappiamo da una lettera di Wolfgang Helbig
custodita presso i Musei Statali di Berlino e pubblicata da Marco Buonocore.
Margherita Guarducci, col piglio di un
pubblico ministero che espone le sue tesi accusatorie nella certezza di basarsi
sulla verità dei fatti, il 27 novembre 1979 all’Accademia dei Lincei dichiara
che la Fibula Prenestina è un falso realizzato nella cerchia dell’orafo Alessandro
Castellani, celebre per la riproduzione di monili antichi. Nella requisitoria
indica Wolfgang Helbig quale autore dell’iscrizione
incisa, con la complicità dell’antiquario Francesco Martinetti. A prova di questa
tesi, la Guarducci adduce in realtà un indizio: la lettera kappa è
scritta con i trattini obliqui staccati fra loro e non convergenti nel punto di
incontro del tratto verticale, come nella grafia abituale dello studioso
tedesco (Guarducci 1980, pp. 447 e 535). Ma nella conferenza la fa da padrone una
sorta di sentimento di avversione pregiudiziale nei confronti degli “imputati”
deceduti da lungo tempo, contro i quali la grande accusatrice cita come testi a
carico Pico Cellini, Guido Devoto, Giuseppina Vigliano e Roberto Cesareo[3].
La requisitoria solleva un’onda emotiva di
sdegno per essere stati ingannati, che probabilmente contribuisce a far
trascurare importanti elementi contro la tesi del falso realizzato in epoca
moderna. Intanto, le lettere di Fulvia Lo Schiavo e Gianluigi Carancini che
dichiarano autentica la Fibula sono ignorate, nonostante si basino su elementi
concreti: la spilla è coerente per tipologia con altri esemplari a drago con
tubetto trasversale databili fra l’ultimo quarto dell’VIII e il terzo quarto
del VII secolo a.C., verosimilmente non conosciuti dai presunti autori del
presunto falso.
L’elenco di tutti gli studiosi che aderiscono
alla tesi del falso sarebbe lunghissimo, si fa prima a menzionare la
soprintendente Clelia Laviosa, convinta dell’autenticità,
che incoraggia la pubblicazione di uno studio della già citata Fulvia Lo
Schiavo nel 1981. Arthur Ernest Gordon reagisce esprimendo lodi entusiastiche in
una sua recensione a Margherita Guarducci e, nel suo manuale di epigrafia latina
(1982), pone una pietra tombale sulla questione, dichiarando falsa la Fibula
Prenestina.
Vengono ignorate le osservazioni linguistiche
e di buon senso di Giovanni Colonna che, fra l’altro, fa notare che la presenza
di correzioni con cambio di vocale e perdita di oro poco si addice al lavoro di
un falsificatore, e si chiede perché Helbig e
Martinetti avrebbero dovuto falsificare un oggetto per poi regalarlo allo Stato
italiano, col rischio di essere scoperti e perdere la reputazione che avevano
acquisito con una luminosa carriera. Ancora più rilevanti sono le osservazioni
di vari studiosi che ribadiscono l’autenticità dell’iscrizione, ma non sono tenute
in alcun conto dalle celebrità del momento e dai loro corrivi epigoni.
La Guarducci cavalca l’onda del successo
e, nel 1983, porta all’Accademia dei Lincei, quale presunta prova definitiva
della falsità dell’oggetto, una relazione del grafologo Nazareno Palaferri sui caratteri della Fibula comparati alla grafia
di Helbig. Franz Wieacker
nel 1984 smonta puntigliosamente l’impianto accusatorio, ma il suo ragionamento
viene accolto come l’abile lavoro di un avvocato difensore che gioca sull’analisi
della verosimiglianza delle accuse per insinuare dubbi. La dimostrazione della
debolezza logica delle accuse, in assenza di una prova materiale che si tratti
di un falso, avrebbe dovuto fare presa sulle intelligenze e sulle coscienze, ma
non accade così. Nella mente della maggioranza degli studiosi si è già formato
un verdetto di condanna: non vogliono sentire ragioni, come se fossero stati
testimoni oculari del delitto.
Ciò che può sorprendere è come sia stato
possibile liquidare l’acuto lavoro epigrafico di Lorenzo Quilici del 1984:
confermando Colonna e Cristofani, Quilici dimostra la grafia ceretana dell’iscrizione
di Manios, attribuita al sistema alfabetico e
al dialetto prenestino, distinto e più antico di quello latino, mentre la
punteggiatura a tre punti, congiuntiva, Quilici sostiene che potrebbe precedere
quella documentata in Etruria. Inoltre, Quilici spiega che, quando fu trovata
la Fibula, l’unica iscrizione latina arcaica conosciuta era quella del vaso di Duenos, che è di molto posteriore, essendo datata al IV secolo
a.C., considerato che il cippo del Foro fu scoperto solo nel 1899.
A Quilici replica immediatamente Guido Devoto,
che aveva esaminato la Fibula per conto della Guarducci, dicendo che l’oro
sembra di struttura moderna[4].
Si assiste alla negazione della realtà
linguistica per partito preso: se è certo che l’oggetto è falso, ci sarà un
motivo per cui reca scritte sicuramente più antiche di tutte quelle conosciute
quando è stato scoperto, ma questo non sembra essere rilevante per nessuno. In
proposito, fa sorridere la spiegazione di compromesso proposta da Robert Coleman
nel 1990: se la scritta è autenticamente antica e l’oggetto è un falso moderno,
allora può darsi che sia stata copiata dai falsari da un oggetto autentico
andato perduto. Come si vede, anche in questo tentativo un po’ goffo, il dogma
della falsità non viene toccato.
Intanto, negli anni Novanta in Italia la
fibula Prenestina nei libri di testo scolastici è definita una “patacca”[5],
portando nell’insegnamento questo errore compiuto sostenendo una tesi
pregiudiziale basata su sospetti infondati sull’integrità morale di due persone
scomparse da tempo e sull’aspetto di oro nuovo che aveva la spilla restaurata,
senza minimamente tener conto delle ragioni linguistiche e di buon senso.
Philip Baldi nel 2002 esclude la Fibula
dal novero delle iscrizioni antiche come forgery,
e Marco Mancini nel 2004 prova a sostenere la falsità adducendo tre argomenti
linguistici: la collocazione inconsueta del nome del destinatario alla fine
dell’iscrizione dove in genere è il verbo, il gentilizio numasios
non documentato nella lingua latina, la radice raddoppiata del verbo vhevhaked.
I primi due argomenti sono confutati dal
fatto che il metro di paragone di Mancini è il latino urbano di epoche di molto
successive; per il terzo argomento, Gerhard Meiser
sostiene che è proprio questa forma di tempo passato da lui approfonditamente
studiata nei sostrati arcaici del latino a confermare l’autenticità dell’iscrizione:
vhevhaked è tra le prime forme di perfetto a
radice raddoppiata comune nei verbi inizianti con “f” (2003). Paolo Poccetti fa l’esempio del falisco, che usa una maggiore
varietà di perfetto – con o senza il raddoppiamento della radice – rispetto al
latino di Roma urbe, che usa una sola forma, in questo caso fecit
(2005). Annalisa Franchi De Bellis va oltre affermando che, per la presenza
dei due prenomi latini e della forma reduplicata del verbo, l’iscrizione è un sicuro
documento storico del latino di Preneste (2007, 2011).
In realtà, già Carlo De Simone (2006, p.
173) aveva considerato il verbo vhevhaked una
forma italica caratteristica di Preneste, che ha diretti confronti nelle forme italico-meridionali
o osche fefaci, e fefakust,
ma potrebbe semplicemente essere forma arcaica conservata a Preneste per la
legge linguistica del conservatorismo della periferia.
Gli esami scientifici sono stati avviati
il 25 settembre 2009 da Edilberto Formigli dell’Università di Firenze, con il
supporto della direttrice del laboratorio di restauro del Museo Pigorini,
Luciana Rossi, autrice delle macrofotografie e di Daniela Ferro; sono
proseguiti, dal 29 novembre 2010, con l’osservazione al microscopio SEM (microscopio
elettronico a scansione) con microsonda elettronica del Laboratorio di Chimica
dell’Università di Roma “La Sapienza”, e infine tutti i risultati sono stati
presentati in un convegno il 6 giugno 2011.
La Fibula Prenestina è autentica. L’oro
è antico per trama, struttura, fusione e qualità, come prova la presenza in
tracce di elementi chimici diacritici al fine di stabilire l’epoca a cui risale.
Il metodo di incisione delle lettere e lo strumento adoperato (punta di ferro
stondata) sono antichi e, inoltre, si è evidenziata una procedura in due tempi.
In particolare, è stata rilevata la tecnica di fabbricazione etrusca del monile
e la sua perfetta corrispondenza con la procedura di incisione. Sono poi stati
visualizzati anche i segni specifici lasciati dalla pasta abrasiva rossa per
restauro ottocentesca, evidenti come rigature sovrapposte e distinte dai segni
di circa 2700 anni fa: nell’area dell’iscrizione queste rigature consentono di
distinguere in modo evidente le tracce antiche delle lettere dalle striature
moderne.
Heikki Solin
nel 2011 si augurava che, visto il ritardo nel recepimento delle nuove nozioni da
parte degli autori di testi scolastici, per il 2020 gli studenti potessero
riprendere a conoscere il valore di questa straordinaria testimonianza di
latino arcaico. Ma, a quanto ci risulta, circolano ancora testi che parlano di “patacca”.
Ma come è stato possibile che la
coincidenza di una lettera “K” scritta dagli antichi come la scriveva Helbig e qualche altro milione di persone al mondo possa aver
indotto per tanti anni a considerare un falso la Fibula Prenestina? Perché se
era possibile istituire una commissione di studio per accertare i fatti,
esaminando scientificamente l’oggetto subito, si è preferito comportarsi come
se la Fibula non esistesse più materialmente e la sua autenticità fosse una
questione di opinione basata su elucubrazioni, presentate come un ragionamento
avvocatesco da Margherita Guarducci, che incarica un grafologo, come se si
dovesse stabilire l’autenticità della grafia di un biglietto scritto dalla
vittima nel corso di un procedimento penale?
È evidente che hanno operato almeno due
meccanismi psicologici: 1) quello che ha indotto la Guarducci a convincersi istintivamente
che la spilla doveva essere un falso realizzato da chi aveva tecniche e
strumenti per farlo; 2) quello dell’adesione cieca, irrazionale e fideistica a
questa idea da parte di un numero impressionante di esperti e comuni cittadini.
Per il primo meccanismo citeremo due
soli aspetti: a) il suo emergere come atteggiamento mentale da
una bias psicologica (meccanismo automatico e involontario) presente in
tutti noi, e consistente nel tendere ad attribuire colpe a chi ci è antipatico;
b) la moda politico-culturale di quel periodo, consistente nel
travestire da ruolo di paladino della giustizia la costruzione di castelli di
accuse denigratorie nei confronti di personaggi potenti o di chiara fama.
L’atteggiamento mentale della Guarducci è
suggerito da due elementi: la Fibula non era stata acquisita immediatamente con
gli altri oggetti della tomba, ma trattenuta e poi consegnata in un secondo
momento; la fama di Alessandro Castellani, Wolfgang Helbig
e Francesco Martinetti era quella di uomini ricchi e di successo.
A proposito dei modelli sociali di
grandi accusatori, l’anno prima delle accuse della Guarducci ai defunti
innocenti, nel 1978 Camilla Cederna pubblica il libro diffamatorio sul Presidente
della Repubblica intitolato Giovanni Leone: la carriera di un presidente.
Il libro vende subito 600.000 copie, diventa oggetto di discussione politica,
scolastica, di costume e crea un movimento di opinione che induce Giovanni
Leone a dimettersi. Si trattava di un’accozzaglia di falsità, menzogne e
calunnie usate abilmente dalla Cederna col piglio dello psicotico paranoico che
assume in sé le funzioni del pubblico ministero, del giudice e dell’esecutore
della pena. Solo molto tempo dopo la Cederna fu condannata in tutti e tre gradi
di giudizio per diffamazione e altri reati. Quando Enzo Tortora fu accusato di
fatti a cui era assolutamente estraneo, la Cederna commentò: “Il personaggio
non mi è mai piaciuto”. Così come i personaggi di Helbig,
Martinetti e Castellani non piacevano alla Guarducci.
Infine, circa il modo in cui la tesi del
falso sia stata acriticamente assunta da migliaia di persone, si dovrebbe scrivere
un saggio di psicologia collettiva, che andrebbe dalla psicologia delle
influenze culturali affrontata già nel secolo scorso in The Group Mind
fino al perché e come fanno presa idee false e infondate quali
quelle dei no-vax dei nostri giorni. Non è
possibile e, dunque, in questa sede ci limitiamo a citare uno spunto di saggezza
antica.
Gli antichi citavano spesso la facilità
con la quale si poteva istillare o inculcare nella folla la convinzione di
colpevolezza e l’odio per chi non godeva delle simpatie del popolo, proponendo un
racconto esemplare: dopo aver sentito esclamare: “Ecco Cinna!”
la folla, aizzata al linciaggio di Cinna il congiurato,
si precipita armata lungo le vie in direzione del malcapitato. Ma, giunta presso
l’uomo, si accorge che non si tratta di Cinna il
congiurato, ma di Cinna il poeta. Allora un capo
della folla urla: “Uccidiamolo lo stesso, perché ha scritto brutte poesie!”.
Quando la mente è indotta a funzionare
solo in modalità esecutiva, escludendo la possibilità di analizzare e
conoscere, si fa prevalere la cognizione di uno stato mentale interno sulla
realtà esterna, e allora la ragione viene adoperata soltanto per “razionalizzare”
o giustificare l’azione che si è già deciso di compiere. Si trova un pretesto
per uccidere un innocente o dichiarare falso un oggetto autentico. [Fonte:
Seminario Permanente sull’Arte del Vivere BM&L-Italia, febbraio 2024].
Notule
BM&L-02 marzo 2024
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La Società Nazionale di Neuroscienze BM&L-Italia, affiliata alla International
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Ufficio Firenze 1, in data 16 gennaio 2003 con codice fiscale 94098840484, come
organizzazione scientifica e culturale non-profit.
[1] Lo studio è nato da una
spedizione di National Geographic per la serie televisiva Disney+ Pole to
Pole with Will Smith guidata dal professore Fry. La spedizione è stata
chiesta dal Capo Waorani Penti Baihua,
che ha personalmente invitato Bryan Fry.
[2] Cfr. Claude Levi-Strauss, Antropologia
strutturale, p. 241, Il Saggiatore, Milano 1966.
[3] AA. VV. La Fibula Prenestina, Bullettino
di Paletnologia Italiana vol. 99, Espera, Roma
2011-2014. Tutta la discussione trae informazioni da questo ottimo saggio, la
cui bibliografia riporta per estese le indicazioni bibliografiche delle opere
da noi consultate e citate in parentesi.
[4] Probabilmente non tenendo conto
che si tratta di oro accuratamente ripulito in un restauro condotto a regola d’arte,
impiegando l’efficace “pasta rossa” professionale, e che la spilla era stata
anche riparata in un punto, con una lega che si impiega in questi restauri.
[5] Un esempio è il manuale di
letteratura latina di Maurizio Bettini del 1995. Maurizio Bettini, una
quindicina di anni dopo, di fronte alle evidenze scientifiche di autenticità farà
marcia indietro, definendo la Fibula: “autentica espressione di uno strato
linguistico estremamente arcaico del latino” (2011).